Non è cosi infrequente, ma spesso i bambini manifestano un
comportamento alimentare che preoccupa molto i genitori. Questo comportamento
si realizza nel rifiuto di mangiare alcuni o la maggioranza dei cibi, pianto o
rifiuto delle pratiche legate all’alimentazione (es. sedersi a tavola, utilizzo
del cucchiaio per la pappa o la minestrina), sino a veri e propri scontri e
battaglie per il cibo.
Questo comportamento, soprattutto se protratto nel tempo,
getta nel panico i genitori, per lo più mamme, che preoccupate, si rivolgono al
pediatra, il quale dopo le opportune
valutazioni atte ad escludere una patologia o una problematica organico –
funzionale, rassicura il genitore con un “non si preoccupi, passerà”.
Ma come capire se questi Comportamenti possono essere
indicatori di un’alterazione precoce del comportamento alimentare anche di tipo
oppositivo - provocatorio, di un disagio
del bambino e di una sua difficoltà nel familiarizzare con consistenze nuove e
differenti o, più semplicemente, la conseguenza di alcuni nostri errori
comportamentali?
Innanzitutto è doveroso ribadire che il momento dell’alimentazione, sin
dai primi giorni di vita, è importante
non solo dal punto di vista della nutrizione, ma anche e soprattutto da quello
della relazione, dal momento che costituisce un’occasione di stretto contatto
tra il piccolo e la madre e favorisce quindi la creazione di un buon legame di
attaccamento. Senza dilungarci in teorie e modelli di sviluppo dell’attaccamento
e della relazione, va concretamente compreso che l’assunzione di cibo deve essere un piacere, non una lotta,
e deve essere connessa all’appetito naturale; essenziale è dunque educare i
bambini a riconoscere la sensazione di fame come ciò che deve guidare la loro
richiesta di cibo, e quella di sazietà come ciò che deve farla cessare.
Dal secondo anno di vita in poi, il bambino passa ad una condizione di maggiore
autonomia alimentare (sceglie i cibi, quanto e come mangiarli), superando, di
fatto, la fase primaria in cui la madre è identificata come fonte di nutrimento,
ed iniziando, pertanto, psicologicamente a differenziarsi da essa, e raggiungendo uno stato di maggiore organizzazione
personale. È questo il momento in cui, in molti casi, iniziano in famiglia le
preoccupazioni per il corretto equilibrio alimentare e le battaglie per una
“corretta alimentazione”. Ma è anche il
momento in cui si commettono i primi Errori.
Innanzitutto, il primo consiglio è quello di Fermarvi ed invitarvi ad osservare il vostro bambino nel
momento in cui manifesta il comportamento.
Questo passaggio è utile a farvi capire se ci sono errori che avete
involontariamente o automaticamente commesso, ad esempio:
- Al momento di mangiare, deve interrompere attività per lui particolarmente piacevoli?
- Ha realmente fame?
- Ha assunto altri cibi o spilucchiato altri alimenti, magari anche in vostra assenza, quando era a casa del compagnetto, o dai nonni, ecc.?
- Il momento del pasto è per lui piacevole o spiacevole?
- Come vivo io da genitore il momento del pasto?
- Come vivo il comportamento del mio bambino?
- Come si comporta dal punto di vista alimentare con altre persone ed in altri contesti(es. nonni, zii, amici,)?
- Quando si rifiuta di mangiare cerco di forzarlo?
- Se rifiuta di mangiare, riceverà successivamente alimenti di cui è ghiotto?
- Questo comportamento del bambino mi crea ansia?
Successivamente il consiglio è quello di NON Forzare il bambino a mangiare o punirlo per questo.
Anche in
assenza di problematiche legate all’alimentazione, è necessario prestare
attenzione, ad alcuni errori tipici e ricorrenti, che si commettono al fine di
accertarsi che il bambino mangi, esempi sono frasi come: “devi finire tutto ciò
che hai nel piatto”, “devi mangiare tutto o non cresci”, “se mangi questo, sei
un bravo bambino”, e tutte quelle situazioni o ricorrenze in cui il cibo
rappresenta un premio, una consolazione, una gratificazione seguita ad un
successo, o addirittura una punizione. Evitate di utilizzare gli alimenti come
forma di ricompensa o di punizione (“Se fai il bravo ti compro il gelato”, “Sei
stato cattivo, quindi niente torta”) perché il cibo non deve essere associato a
nient’altro se non alla fame, o di introdurre severe limitazioni di certi cibi
(“Solo una caramella, non di più”) perché questo non farà altro che rendere l’alimento,
ancor più desiderabile.
L’obbligo del finire tutto ciò che il bambino ha nel piatto, ostacola l’
autocontrollo del bambino nell’alimentazione, alterando la fisiologica e
funzionale percezione della fame – sazietà, fondando la credenza secondo cui la sazietà
dipenda dall’avere il piatto vuoto e pulito e non dalle sensazioni del suo
stomaco.
L’imposizione tout court, soprattutto se scevra da principi educativi, formativi
(e strategici), legata al cibo, anche se fatta con le migliori intenzioni,
rappresenta di fatto, una modalità aggressiva nel rapportarsi con il bambino, con
l’effetto contrario di suscitare in loro reazioni di opposizione proprio attraverso
il rifiuto del cibo stesso, che diviene l’unico
modo per “difendersi” da queste
imposizioni. Pertanto, alcuni bambini che rifiutano il cibo in realtà stanno
“lottando” per riuscire ad autogestirsi, ed utilizzano il cibo per esprimere
rifiuto ed ostilità nei confronti di genitori possessivi ed iperprotettivi, che
non concedono loro autonomia ed indipendenza, altri rifiutano il cibo
semplicemente perché in quel momento non sono affamati, o perché non è quello
l’alimento di cui sono affamati. Osservare e comprendere il Comportamento è
quindi, come vi dicevo prima, il primo passo da compiere.
Se da una parte, il bambino che rifiuta o limita l’assunzione di cibo, provoca
generalmente ansie e timori e fa disperare i genitori, molta meno preoccupazione
genera, invece, un bambino compiacente ed in grado addirittura di iper - alimentarsi,
con grande gratificazione delle mamme. Purtroppo questo comportamento,
solitamente rinforzato ed accettato, è in realtà, l’altra faccia di una stessa medaglia, ed è
spesso sottovalutato.
Altro errore da evitare, e molto ricorrente, soprattutto tra i bambini dopo i 6 anni, è
costituito dalla manifestazione di un atteggiamento
di dispiacere delle madri che si vedono rifiutare cibo o pasti amorevolmente
preparati appositamente per il piacere del loro bambino, le quali si sentono erroneamente inadeguate
nella loro funzione di “cura”, in seguito al rifiuto.
Come avrete potuto notare nel
momento del pasto entrano in gioco tante emozioni, sia nel bambino che nei
genitori, e bisogna evitare che questo diventi il terreno fertile per delle
lotte di potere.
Per rendere più piacevole il momento del pasto è possibile, dunque, coinvolgere il Bambino, facendosi aiutare a preparare la tavola o i cibi, coinvolgere i figli nella
scelta di questi, non insistere troppo per farli mangiare ma piuttosto farli
passare direttamente al pasto successivo e, soprattutto, non focalizzare eccessiva attenzione sul momento dei pasti come unico momento di rilevanza, e ricordare sempre che
in questa occasione condividere con loro il tempo e l’attenzione è tanto
importante quanto condividere il cibo.
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