lunedì 27 gennaio 2014

I Bambini soffrono di Ansia?


Assolutamente si. 
Oggi parleremo dei Disturbi d’Ansia nell’Età Evolutiva, cercando con semplicità, senza eccessivi tecnicismi, di fare chiarezza e fornire alcune risposte importanti circa questa problematica.
Prima di parlare di Disturbi d’Ansia è bene soffermarsi e fare delle distinzioni su alcune definizioni, ossia Paura e Ansia.
La Paura costituisce una risposta funzionale e naturale  a situazioni oggettivamente pericolose, in quanto genera lallerta necessaria per affrontare un pericolo. In tal senso, essa ha una funzione adattiva ovvero stimola la vigilanza, lattenzione e limpegno e tiene a distanza da situazioni pericolose grazie allattivazione di reazioni fisiologiche di allarme. L’Ansia invece, che in certa misura può essere normale (es. prima di un esame), è  una risposta immotivata ed eccessiva ad una situazione.
Erroneamente si pensa che i Disturbi d’Ansia interessino solo l’Età adulta, ma non è propriamente così. L’Ansia può interessare sia i Bambini che gli Adolescenti.
Nei bambini, i Disturbi dansia si manifestano attraverso sintomi  fisico  - somatici (gastrointestinali, mal di testa, enuresi, nausea e vomito, agitazione, ecc), cognitivi (pensieri e idee)  e comportamentali (fuga ed evitamento). Molte mamme mi riportano, ad esempio, delle loro quotidiane lotte con il proprio bambino, ogni mattina,  prima di andare a scuola, fatte di pianto, capricci, urla, sintomi gastrointestinali come nausea e vomito, i quali sintomi  peggiorano e sono presenti durante la settimana, per poi scomparire nel weekend o durante le vacanze.
Non solo. Spesso, infatti, i bambini possono mostrare un eccessivo attaccamento o difficoltà ogni qualvolta devono allontanarsi da casa, dal genitore o da una figura di riferimento. Questo rifiuto, e difficoltà, può manifestarsi in vista di una temporanea separazione,  legata allo svolgimento di  attività ludiche per il bambino (es. giocare con i compagnetti, andare al parco, andare a casa di un cuginetto, dormire con altre figure parentali, praticare uno sport,  ecc),  nel momento di andare a dormire da solo nel proprio letto o nella propria stanzetta, nella costante preoccupazione di perdita ed abbandono dei Genitori e nella ricerca di rassicurazioni, oppure esprimersi attraverso un totale o selettivo rifiuto, sia spontaneo che su richiesta, di parlare in alcune situazioni o contesti sociali.  Ancora, il Bambino può manifestare, più o meno apertamente, ed in differenti ambiti, un atteggiamento di opposizione a regole e condotte educative, a volte anche attraverso un comportamento di tipo provocatorio.
Per poter parlare di ansia è necessario che ricorrano le seguenti condizioni: questa non deve essere generata da stimoli oggettivamente pericolosi; deve generare comportamenti disadattavi; non deve essere originata da paure tipiche e frequenti nei bambini; deve essere  osservabile anche se non esplicitamente verbalizzata dal bambino.
Tutte quelle che abbiamo qui sopra elencato, sono manifestazioni di Ansia espresse nell’Età evolutiva. Tra i Disturbi d’ansia in Età evolutiva infatti troviamo:

      Disturbo D’ansia E Separazione
      Fobia Scolare
      Mutismo Selettivo
      Fobia Sociale
      Disturbo Ossessivo-Compulsivo
      Disturbo Da Stress Post Traumatico
Ognuno di questi Disturbi presenta una sua espressione tipica che sarà approfondita nei prossimi Post.  Affinché si possa supporre un possibile Disturbo d’ansia ed una difficoltà nel Bambino, è necessario che le manifestazioni cognitive, comportamentali e/o somatiche siano presenti  da almeno 2 settimane, per la maggioranza dei giorni, e per alcuni mesi; siano frequenti, e compromettano il funzionamento quotidiano e in diversi contesti (scolastico, sociale, familiare). Intervenire e trattare i Disturbi d’ Ansia nel’Età evolutiva si può, e richiede la collaborazione della Famiglia e spesso dell’Istituzione Scolastica, oltre che l'intervento di un Esperto, nell’aiutare il Bambino a vivere il più serenamente possibile e sperimentate situazioni di autoefficacia e successo. Inoltre, le manifestazioni ansiose possono interessare anche Bambini molto più piccoli e quindi in fascia Prescolare. E’ indispensabile riconoscere queste situazioni al fine di evitare che crescendo il Bambino generalizzi gli apprendimenti, gettando le basi per sviluppare in futuro, da adulto, un vero e proprio Disturbo cronico ed invalidante.

martedì 21 gennaio 2014

POST IN PILLOLE: Quando i Bambini rifiutano il cibo





Non è cosi infrequente, ma spesso i bambini manifestano un comportamento alimentare che preoccupa molto i genitori. Questo comportamento si realizza nel rifiuto di mangiare alcuni o la maggioranza dei cibi, pianto o rifiuto delle pratiche legate all’alimentazione (es. sedersi a tavola, utilizzo del cucchiaio per la pappa o la minestrina), sino a veri e propri scontri e battaglie per il cibo.

Questo comportamento, soprattutto se protratto nel tempo, getta nel panico i genitori, per lo più  mamme, che preoccupate, si rivolgono al pediatra, il quale  dopo le opportune valutazioni atte ad escludere una patologia o una problematica organico – funzionale, rassicura il genitore con un “non si preoccupi, passerà”. 

Ma come capire se questi Comportamenti possono essere indicatori di un’alterazione precoce del comportamento alimentare anche di tipo oppositivo  - provocatorio, di un disagio del bambino e di una sua difficoltà nel familiarizzare con consistenze nuove e differenti o, più semplicemente, la conseguenza di alcuni nostri errori comportamentali?

Innanzitutto è doveroso ribadire che il momento dell’alimentazione, sin dai primi giorni di vita,  è importante non solo dal punto di vista della nutrizione, ma anche e soprattutto da quello della relazione, dal momento che costituisce un’occasione di stretto contatto tra il piccolo e la madre e favorisce quindi la creazione di un buon legame di attaccamento. Senza dilungarci in teorie e modelli di sviluppo dell’attaccamento e della relazione, va concretamente compreso che l’assunzione di cibo deve essere un piacere, non una lotta, e deve essere connessa all’appetito naturale; essenziale è dunque educare i bambini a riconoscere la sensazione di fame come ciò che deve guidare la loro richiesta di cibo, e quella di sazietà come ciò che deve farla cessare.

Dal secondo anno di vita in poi, il bambino passa ad una condizione di maggiore autonomia alimentare (sceglie i cibi, quanto e come mangiarli), superando, di fatto, la fase primaria in cui la madre è identificata come fonte di nutrimento, ed iniziando, pertanto, psicologicamente a differenziarsi da essa,  e raggiungendo uno stato di maggiore organizzazione personale. È questo il momento in cui,  in molti casi, iniziano in famiglia le preoccupazioni per il corretto equilibrio alimentare e le battaglie per una “corretta alimentazione”.  Ma è anche il momento in cui si commettono i primi Errori.

Innanzitutto, il primo consiglio è quello di Fermarvi ed invitarvi ad osservare il vostro bambino nel momento in cui manifesta il comportamento. 
Questo passaggio è utile a  farvi capire se ci sono errori che avete involontariamente o automaticamente commesso, ad esempio:

  • Al momento di mangiare, deve interrompere attività per lui particolarmente piacevoli?

  • Ha realmente fame?
  • Ha assunto altri cibi o spilucchiato altri alimenti, magari anche in vostra assenza, quando era a casa del compagnetto, o dai nonni, ecc.?
  • Il momento del pasto è per lui piacevole o spiacevole? 
  • Come vivo io da genitore il momento del pasto?

  • Come vivo il comportamento del mio bambino?

  • Come si comporta dal punto di vista alimentare con altre persone ed in altri contesti(es. nonni, zii, amici,)?

  • Quando si rifiuta di mangiare cerco di forzarlo?

  • Se rifiuta di mangiare, riceverà successivamente alimenti di cui è ghiotto?

  • Questo comportamento del bambino mi crea ansia?

Successivamente il consiglio è quello di NON Forzare il bambino a mangiare o punirlo per questo. 
Anche in assenza di problematiche legate all’alimentazione, è necessario prestare attenzione, ad alcuni errori tipici e ricorrenti, che si commettono al fine di accertarsi che il bambino mangi, esempi sono frasi come: “devi finire tutto ciò che hai nel piatto”, “devi mangiare tutto o non cresci”, “se mangi questo, sei un bravo bambino”, e tutte quelle situazioni o ricorrenze in cui il cibo rappresenta un premio, una consolazione, una gratificazione seguita ad un successo, o addirittura una punizione. Evitate di utilizzare gli alimenti come forma di ricompensa o di punizione (“Se fai il bravo ti compro il gelato”, “Sei stato cattivo, quindi niente torta”) perché il cibo non deve essere associato a nient’altro se non alla fame, o di introdurre severe limitazioni di certi cibi (“Solo una caramella, non di più”) perché questo non farà altro che rendere l’alimento, ancor più desiderabile.

L’obbligo del finire tutto ciò che il bambino ha nel piatto, ostacola l’ autocontrollo del bambino nell’alimentazione, alterando la fisiologica e funzionale percezione della fame – sazietà,  fondando la credenza secondo cui la sazietà dipenda dall’avere il piatto vuoto e pulito e non dalle sensazioni del suo stomaco.

L’imposizione tout court, soprattutto se scevra da principi educativi, formativi (e strategici), legata al cibo, anche se fatta con le migliori intenzioni, rappresenta di fatto, una modalità aggressiva nel rapportarsi con il bambino, con l’effetto contrario di suscitare in loro reazioni di opposizione proprio attraverso  il rifiuto del cibo stesso, che diviene l’unico  modo per “difendersi” da queste imposizioni. Pertanto, alcuni bambini che rifiutano il cibo in realtà stanno “lottando” per riuscire ad autogestirsi, ed utilizzano il cibo per esprimere rifiuto ed ostilità nei confronti di genitori possessivi ed iperprotettivi, che non concedono loro autonomia ed indipendenza, altri rifiutano il cibo semplicemente perché in quel momento non sono affamati, o perché non è quello l’alimento di cui sono affamati. Osservare e comprendere il Comportamento è quindi, come vi dicevo prima, il primo passo da compiere.

Se da una parte, il bambino che rifiuta o limita l’assunzione di cibo, provoca generalmente ansie e timori e fa disperare i genitori, molta meno preoccupazione genera, invece, un bambino compiacente ed in grado addirittura di iper - alimentarsi, con grande gratificazione delle mamme. Purtroppo questo comportamento, solitamente rinforzato ed accettato, è in realtà,  l’altra faccia di una stessa medaglia, ed è spesso  sottovalutato.

Altro errore da evitare, e molto ricorrente,  soprattutto tra i bambini dopo i 6 anni, è costituito dalla manifestazione di  un atteggiamento di dispiacere delle madri che si vedono rifiutare cibo o pasti amorevolmente preparati appositamente per il piacere del loro bambino,  le quali si sentono erroneamente inadeguate nella loro funzione di “cura”, in seguito al rifiuto.

Come avrete potuto notare nel momento del pasto entrano in gioco tante emozioni, sia nel bambino che nei genitori, e bisogna evitare che questo diventi il terreno fertile per delle lotte di potere. 
Per rendere più piacevole il momento del pasto è possibile, dunque, coinvolgere il Bambino, facendosi aiutare a preparare la tavola o i cibi, coinvolgere i figli nella scelta di questi, non insistere troppo per farli mangiare ma piuttosto farli passare direttamente al pasto successivo e, soprattutto, non focalizzare eccessiva attenzione sul momento dei pasti come unico momento di rilevanza, e  ricordare sempre che in questa occasione condividere con loro il tempo e l’attenzione è tanto importante quanto condividere il cibo.